martedì 8 aprile 2008

L'uomo più felice del mondo: «Il segreto? Allenarsi»

Matthieu Ricard, 62 anni: ha lasciato la carriera per diventare monaco buddista. «La serenità è una scelta»
A 26 anni ha buttato all'aria il dottorato in genetica cellulare all'Istituto Pasteur di Parigi per cercare la sua strada in Himalaya. Oggi è uno dei consiglieri del Dalai Lama.

Che cosa dobbiamo fare per essere felici?
«Istintivamente riponiamo tutte le nostre speranze nelle condizioni esteriori. Non è sbagliato. È normale anelare a una vita lunga, in salute, in un paese libero e democratico. Ma è fondamentale che ci concentriamo sulle condizioni interiori. Perché la felicità non è una successione fortunata di eventi felici, ma è un modo di essere ottimale che ci dà le risorse per gestire ciò che ci succede. La strada per arrivarci è l'allenamento dei nostri sentimenti migliori: l'altruismo, la compassione, la pace interiore. Ed è anche la liberazione progressiva dalla collera, dalla paura, dalla gelosia, dall'orgoglio».

Facile in un monastero. Difficile da praticare tutti i giorni con il capo, l'amica o il vicino di casa.
«A maggior ragione in un mondo caotico è importante cominciare a trasformare dentro di noi. Con un po' di sforzo e tanta pratica. Come si dedicano molti anni alla formazione culturale e professionale, così dobbiamo darci del tempo per trasformare noi stessi ».

Come «allenarci», per esempio, quando ci sentiamo provocati in ufficio?
«Con il contagio emozionale. Cioè rispondendo con un atteggiamento sinceramente positivo e aperto. L'aggressività di quel collega, alla fine, si smorzerà. Il che non significa essere passivi e subire. Vuol dire scegliere lucidamente di non litigare».

Esiste una felicità del falegname, del panettiere, del manager?
«No. Le componenti fondamentali della felicità sono le stesse per tutti, come quelle dell'infelicità: bontà, generosità, apertura al prossimo; e malvagità, gelosia, egoismo».

Nel suo ultimo libro «Il gusto di essere felici» (Sperling Kupfer) scrive che la «felicità è il gusto di vivere ». Come chiederlo a un disoccupato o a un malato terminale?
«Gli studi hanno verificato che di fronte a un tumore ci sono due risposte: un crollo fisico e morale oppure, ed è la maggioranza, una capacità di vivere con pienezza e appagamento il tempo che resta».

È possibile educare i bambini a essere felici?
«Fanno la differenza l'affetto, la tenerezza e l'amore che ricevono dalla madre. È lei a dover essere messa in condizione di potersi occupare del figlio nel modo migliore».

Che senso ha fare ricerca interiore mentre i popoli sono sconvolti da guerre e povertà? Non sarebbe più utile agire concretamente?
«Potremmo domandarci, allora, a quale scopo costruire un ospedale. Non dovremmo sbrigarci e operare per strada chi è ferito? Eppure, quando l'ospedale è finito, sarà un mezzo molto più potente per prestare soccorso. Allo stesso modo non c'è nessuna guerra che non cominci con dei pensieri di odio, di collera e di competizione. Se cominciamo a trasformarli a livello individuale, forse si può evitare la guerra».

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